Document: ressa in particolare i gruppi vulnerabili o socialmente svantaggiati. La malnutrizione riguarda tanto le forme carenziali, ovvero deficit di energia e /o nutrienti, quanto in forme per eccesso e/o sbilanciamento di intake, che esita in sovrappeso, obesità e altre patologie croniche alimento-correlate. Essa non risparmia nessuno, accanendosi verso i gruppi sociali più fragili: 150 milioni di bambini nel mondo soffrono di arresto della crescita causato da sottoalimentazione, 38 milioni sono i bimbi sotto i cinque anni di età in sovrappeso, e ambedue tali popolazioni sono a maggior rischio di sviluppo di una patologia cronica in età adulta. Sul fronte anziani, circa l'83% è a rischio di malnutrizione, e quando istituzionalizzati dal 20 al 39% risultano francamente malnutriti e dal 47 al 62% a rischio di malnutrizione. Nonostante un'apparente opposizione agli estremi -difetto vs eccesso, sottopeso vs sovrappeso -tutte le forme di malnutrizione sono accomunate da comportamenti alimentari non appropriati e da bassa qualità dietetica, solo in minima parte sono diretta responsabilità dei singoli cittadini consumatori. L'ambiente sociale rappresenta, storicamente, una fortissima determinante nell'alimentazione dei popoli perché si lega inestrinsecabilmente a uno dei "valori" fondamentali delle società passate e odierne: il potere e la sua gestione. Nell'attuale assetto sociale, infatti, il significato del cibo è solo marginalmente quello di sfamare/sfamarsi: siamo "affamati di cibo" anche a pancia piena, desideriamo mangiare non per nutrirci e adempiere alle funzioni principali della vita di tutti i giorni, bensì assai più spesso per semplice concupiscenza e ricerca di piacere. Il passaggio di significato dal cibo come sopravvivenza a cibo come merce di scarso valore etico trova i suoi antesignani in molti fatti, aneddoti e personaggi della storia antica e recente: il controllo del cibo è stata la prima causa di emarginazione sociale, e ha condotto all'attuale prospettiva di massificazione della produzione, secondo una logica di basso costo ma alto (o altissimo) profitto. Al termine del secondo conflitto mondiale, per ragioni sostanzialmente economiche (produzione di cibo come spinta propulsiva di lavoro e ricchezze nazionali minate dalla guerra), quello che era "per pochi" diviene "tanto per molti", ovvero una espansione e diffusione universale degli spazi commerciali alimentari, secondo logiche di non sempre garantita qualità offerta e basso ricavo sul singolo "pezzo". Logica conseguenza di tale cambiamento di prospettiva, è che gli enormi profitti del mercato alimentare si generano solo a prezzo di enormi vendite di derrate, con una proiezione diretta all'ipersfruttamento di terra, acqua e suolo e spreco di circa un terzo dell'intera produzione generata. Si genera quindi un perfetto approccio loss-loss: denaro, energia e forza lavoro per produrre cibo, e altrettanto o quasi spreco di risorse economiche, umane e materiali per gettarlo. Perdono (qua-si) tutti, e vincono pochissimi. Quei pochissimi che non sono né produttori, né consumatori ma, molto semplicemente, distributori di cibo in ogni parte del mondo. Ovvero, la Grande Distribuzione Organizzata (GDO), effetto diretto e promanazione di un ambiente sociale fortemente trasformato e "omogeneizzato" -dal punto di vista dell'offerta -a livello universale. Quello che Ian Grievink già descriveva nel 2003, è ancor più vero e attuale nel 2019: a fronte di un esercito di produttori primari e di un
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